Interpretations
Bettye LaVette
Voto: Â 3 stelle
Casa discografica: Anti
Anno: 2010
Ho già raccontato la storia di Bettye Lavette e della “vocazione tardiva” che l’ha consegnata alle cronache del nostro tempo. Giovane stellina soul nei primi anni ‘70, venne sedotta e abbandonata dalla Atlantic e finì per smarrirsi in una scena sempre più lontana dal suo gusto, dove probabilmente solo qualche anno prima avrebbe fatto strage. Ha perso tre decenni e solo ora, varcati i 60, sta recuperando il tempo perduto con alcuni apprezzati album per la Anti. Questo è il terzo della serie, una raccolta di cover pescate con attenzione e malizia dal grande quaderno del british rock classico, anni ’60 e ’70.
La voce di Bettye non si discute, è lava e fiamma ossidrica, un vertiginoso flash che dovrebbe far vergognare tante sciacquette bianche che souleggiano a caccia di talent show. Quello su cui si può eccepire è il repertorio, un mix di pagine dimenticate e classici abusati che gli arrangiatori hanno trattato in maniera ineguale, scivolando nel banale/nel monotono e in altri casi sfoderando un ammirevole coraggio. The Word, un trascurato Lennon da Rubber Soul, è il fiero inizio (quasi irriconoscibile!), No Time To Live (Brian Auger) il seguito esoterico; poi Don’t Let Me Be Misunderstood, splendida ma troppo masticata, e i peccati mortali di Wish You Were Here e Nights In White Satin, compensati da un romantico McCartney giovanile (Maybe I’m Amazed), da un Elton John così così (Don’t Let The Sun Go Down On Me) e da un meritevole Jagger/Richards che avrei giurato di ricordare solo io (Salt Of The Earth).
Un album cerchiobottista, a dirla tutta, con pregevoli finezze e sbandate all’inseguimento di Rod Stewart e dei suoi songbooks da vegliardo. Finale in gloria: una Love Reign O’er Me dal vivo al Kennedy Center che rende onore a Pete The Mod e alla sua celebrazione Quadrophenica.
delrock.it
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