Erickson Roky
Voto utenti: cinque stelle
Casa discografica: Chemikal Underground
Anno: 2010
Roky Erickson è un texano ormai over 60 che quand’era teenager scrisse una canzone passata agli annali, You’re Gonna Miss Me, con la sua band di allora che sfoggiava la molto sessantottesca sigla di 13th Floor Elevators. Quella canzone la si cita sempre quando si fa rassegna del rock minore americano anni ’60, all’incrocio fra tardo beat e ingenua psichedelia – garage rock, per dirla in gergo. Erickson e i suoi praticavano quel genere con fiera originalità . Usavano rumori strani, come quel ronzìo persistente che diventò il loro marchio di fabbrica (era un jug, una grossa bottiglia di quelle usate nella musica skiffle, con un microfono per amplificare il suono); e scrivevano testi “basati sulla ricerca della pura sanità mentale”, uso le note un po’ altezzose del primo LP. “Recentemente è diventato possibile per l’uomo alterare chimicamente il suo stato mentale e di conseguenza il suo punto di vista. E’ quindi possibile ristrutturare il pensiero e modificare il linguaggio così da relazionarsi diversamente, e in maniera più limpida, con la vita e i suoi problemi.” Il dottor Leary non avrebbe saputo dire meglio.
Se avete voglia di scartabellare tra quelle vecchie carte, andate dritti ai primi due album, Psychedelic Sounds e Easter Everywhere, e lasciate perdere gli altri due che all’epoca uscirono; lì troverete il meglio degli Elevatori dalle parti del ’68. Il punto però non è quello. Il punto è che Roky molto presto cominciò a straparlare, e non solo nelle canzoni, e gli fu diagnosticata una forma acuta di paranoia accentuata dall’uso smodato di droghe. Avrebbe dovuto curarsi ma lo fece solo quando finì nei guai, incastrato da un joint di marijuana e costretto a richiedere il trattamento psichiatrico per evitare dieci anni di galera. Finì al Rusk State Hospital for the Criminally Insane e lì passò tre anni, tre!, curato con dosi da elefante di Torazina ed elettrochoc. Quando ne uscì, nel 1972, il garage e gli Elevators erano un ricordo sfocato ma a dire il vero, per una mente così “trattata”, tutto si era allontanato sullo sfondo e aveva preso sembianze vagamente mostruose. Provò a tornare sulla scena ma non trovò spazio, giusto qualche singolo subito affossato e l’infido aiuto di manager senza scrupoli che avevano capito la fragilità del ragazzo e se ne approfittavano.
Per fortuna arrivò la bufera del punk, che scompaginò le vecchie categorie e portò in primo piano quelle bizzarre pagine giovanili che fino ad allora avevano ascoltato solo pochi sballoni texani e collezionisti ultrà . Erickson diventò un mito e gli venne offerto un album intero, addirittura per una multinazionale: lui afferrò la chance con una serie di canzoni che parlavano di zombie, vampiri, cani a due teste, demoni e alligatori, con l’accompagnamento di una band chiamata non a caso The Aliens. Roky era ossessionato dagli alieni, era convinto che emissari di altri pianeti fossero giunti sulla Terra per fargli del male e che un marziano abitasse il suo corpo. A un certo punto decise che l’unico modo per sfuggire a quella trappola era confessarsi alieno lui stesso, e allo scopo contattò un attonito notaio per una dichiarazione ufficiale.
Più scendeva nelle spire della sua psiche, più fioco si faceva il lume della ragione e più il suo culto si diffondeva. Una nuova generazione di rocker emersi dalle macerie del punk e della new wave guardava in maniera diversa alla storia rock e mostrava un occhio di riguardo per eccentrici ed emarginati, sul bordo della follia e anche oltre – erano i REM e Julian Cope, The Jesus And Mary Chain e i Primal Scream, Robyn Hitchcock, i Television, i Minutemen. Per loro Erickson era un Syd Barrett americano, un Re Lunatico che aveva il dono di sbirciare oltre le porte della percezione, con la fondamentale differenza che il vecchio Floyd aveva tirato giù le persiane e non voleva più saperne del mondo intorno mentre Roky provava a condurre una vita da musicista on the road, per quanto erratica, instabile, con pause frequenti. Dopo il disco con gli Aliens ne vennero altri, in studio e dal vivo, per etichette piccole o proprio microscopiche, fatte di canzoni deliranti o solo incompiute. Erano rock velenosi taglienti o sgangherate ballads che Erickson cantava con voce sconnessa sceneggiando i suoi incubi & visioni; una eterna promessa di qualcosa che in effetti non arrivava mai, uno sguardo su un “al di là ” spaventoso, voluttuoso, alla fine deludente.
Forse non ve lo aspettate, ma questa storia ha un lieto fine – fino a prova contraria. Dopo essersi buttato via per anni, esibendo senza ritegno la propria follia, rifiutando di curarsi, nel 2001 Roky accetta di cambiare vita. Suo fratello Sumner, prima tuba alla Pittsburgh Symphony Orchestra, viene nominato tutore e lo convince a seguire una nuova terapia psichiatrica che porta a risultati insperati. Erickson si riprende, torna a esibirsi e nel 2007 addirittura varca l’oceano per un tour britannico che suscita clamore. Ha l’aria torpida e una barba incolta che lo fa sembrare più vecchio dei suoi già molti anni; ma sa tenere la scena e racchiudere in uno show le emozioni della sua vita sull’ottovolante, da quando ragazzino meditò di far entrare in gruppo la giovane conterranea Janis Joplin agli anni degli zombie e degli alieni, fino al 1995, quando pubblicò il suo disco più “regolare”, All That May Do My Rhyme, suscitando sorpresa e sospetto – un Roky Erickson “in quadro” e piattamente rock era infinitamente meno attraente di un Roky Erickson re dei matti, con tutte le sue ubbìe, paranoie, velleità , balbuzie.
Il culmine di questa rinascita è un album appena uscito, il primo da quella volta a metà ’90. Si chiama True Love Cast Out All Evil e l’ha voluto e prodotto Will Sheff, leader degli Okkervil River, che ha messo a disposizione la sua band e con Erickson ha selezionato una diecina di brani dalla sessantina emersa dagli archivi, arrangiandoli con misura e decorandoli con vibranti inserzioni noise. Non è un disco epocale, non cambierà neanche un filo della storia rock e nemmeno il giudizio maturato su un vecchio rocker perduto; ma è il commovente sforzo di un uomo che a 62 anni ha ritrovato la vita e prova a esprimersi come mai gli è riuscito, raschiando con la carta vetro della voce le idee psico folk rock che tante volte gli sono apparse nella mente e illusoriamente sono fuggite via. Il titolo è candido (“il vero amore scaccia il male”) ma il disco si sforza di non essere buonista; e all’inizio e alla fine due demo tremolanti registrati tanti anni fa al manicomio criminale di Rusk stanno a testimoniare che Roky non vuole dimenticare niente, che il ritrovato cantastorie di oggi è lo stesso ragazzo pieno di voglie e paure che a vent’anni anni gettò alle ortiche una promettente carriera, per la dissennatezza sua e di chi crudelmente pretendeva di “curarlo”.
Forse è l’ultimo disco di Roky Erickson, forse il primo suo vero. Quello che importa è che il vecchio adolescente di You’re Gonna Miss Me ha ripreso consapevolezza del diamante che come tutti porta dentro di sè, ed è tornato a lucidarlo. Lo possono accompagnare le parole che Roger Waters scrisse tanti anni fa per il suo amico Syd, un altro smarritosi nel labirinto del rock e della vita: “Vieni bambino, vincitore e vinto/ Tu che hai scavato per estrarre verità e delirio/ Vieni e risplendi”.
delrock.it
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