Recensione trovata su web da storiadellamusica.it che mi trova parzialmente in sintonia.
«You’ve got to make your descent slowly», predica in apertura con accento dello Yorkshire Alex Turner. Scendere lenti nel terzo disco degli Arctic Monkeys, in effetti, è l’unica possibilità che ci è data, dal momento che non c’è un’altra “Brianstorm†ad aprire le danze, come avveniva nel secondo e muscoloso “Favourite Worst Nightmareâ€, ma la lenta trance di “My Propellerâ€, con la leggera distonia del refrain a sbiadire i sensi e il riff di chitarra a intontirli. Rilassamento drogato, replay, svenevolezza, ombrosità , chiaroscuro: ecco “Humbugâ€, ossia gli Arctic Monkeys che diluiscono nell’acido l’indie-rock spavaldo e sgualdrino che hanno contribuito a lanciare.
Da “Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not†non è passato granché (3 anni: un soffio), ma molte cose alla band di Sheffield sono accadute, dal cambio di line-up al progetto parallelo dei The Last Shadow Puppets, attraverso una miriade di Awards in patria e la formazione di una tipica dinamica di odio/amore critico-commerciale che tocca, in musica, a chi raggiunge, venendo dal basso, un’istantanea visibilità . I riff buoni, certo, li hanno avuti in saccoccia fin da subito, e la giovinezza sfacciata faceva il resto: ma si trattava solo di furbizia? Pura costruzione da rivista britannica o c’era anche la stoffa? Band da singoli divertenti o qualcosa di più?
“Humbug†non può dare nessuna risposta, perché è un disco di deviazione, che si mette da solo tra parentesi, spostando le coordinate, ma senza i bicipiti, quasi con abulia. La produzione di Josh Homme (Queens of the Stone Age) e la registrazione nei deserti californiani, invece di esporre i suoni alle bruciature e alla vastità degli spazi, li intridono in una penombra stretta e sfiancata: lo stile e la tecnica delle scimmie non cambiano granché rispetto al passato, ma il rallentamento dei ritmi e la maggiore ipnoticità delle geometrie chitarristiche, rese più tremule da qualche suggestione psichedelica, rendono il passo delle canzoni più sfatto e drogato (d’altronde pare che l’Lsd abbia avuto una certa parte nella vita recente di Turner, e alcuni testi, “My Propeller†e “Potion Approaching†su tutti, sembrano confermarlo).
La maggior parte dei brani inflaccidisce l’energia degli Arctic Monkeys più incisivi, ma senza creare, per lo più, momenti degni di nota (così così “Fire And The Thud†e la beatlesiana “Secret Doorâ€), e lasciando agli episodi più sottoritmo (“Dance Little Liarâ€, “Cornerstoneâ€, quest’ultima prodotta da James Ford, già all’opera nel disco precedente e in “The Age of the Understatementâ€), una pur prevedibile godibilità . A ritmi bassi funziona davvero solo “The Jeweller’s Handsâ€, lunga dark-ballad introspettiva sbiadita dall’organo, a chiudere il disco con classe e a ribadire come le scimmie preferiscano piazzare il meglio in fondo ai propri lavori (già “505â€).
Dove la batteria torna a picchiare e i riff si fanno taglienti, d’altronde, ne escono i pezzi più pasticciati dell’album (“Potion Approachingâ€, “Dangerous Animalsâ€), mentre piace “Crying Lightningâ€, singolo non ficcante, ma certo catalogabile tra quelle canzoni che gli angloamericani definiscono sinteticamente growers (che cresce con gli ascolti, diremmo noi), partenza à la Muse prima maniera, con basso distorto e riff noir, e svolta catchy post-secondo-minuto – trucchetto variantistico che in “Humbug†diventa quasi schema. “Pretty Visitorsâ€, psych-punk orrorifico con refrain cantato in stile zombie, organo allucinato e rullate frenetiche (Matt Helders è batterista di qualità ), prosegue là dove gli Horrors si erano fermati, e piace pure di più.
C’è, dunque, materiale per parlare di una maturazione, ma non per parlare di un disco riuscito. Idea, clima, atmosfera e stile erano ai blocchi di partenza. Al traguardo, però, sono arrivate solo una manciata di canzoni. L’impressione, tuttavia, è che lo scartamento di “Humbug” possa favorire un salto di qualità nel futuro prossimo, sciolto sia dalla volontà di sembrare ‘good on the dancefloor‘ sia da quella di essere ‘cool in the desert‘. 5,5.
Sito ufficiale:Â www.arcticmonkeys.com/
Myspace:Â www.myspace.com/arcticmonkeys
VIDEO
“Crying Lightning”:Â www.youtube.com/watch
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