by delrock.it
Voto: 4 STELLE
Casa discografica: ATCO
Anno: 1967
Dal dizionario 24.000 dischi
Vanilla Fudge
Chiedi chi erano i Beatles, certo: ma i Vanilla Fudge? Provate a porre questa domanda a un rocker giovane e avrete senza dubbio occhi sbarrati e bocca chiusa. Chiedetelo invece al babbo o zio del rocker giovane, meglio ancora, al nonno, e nove su dieci otterrete una fulminea risposta.
I Vanilla Fudge furono un mito dalle parti del 1968, e soprattutto in Italia, quand’era ancora penosa carestia di rock e la radio trasmetteva poco, e la TV ancora meno. Qualcuno chissà come scoprì il primo LP di quei ragazzi nuovayorkesi, quello con una foto solarizzata che faceva molto “psichedelia”, e per passaparola la moda si diffuse, e fu una Vanilla-mania che durò sino alla fine degli anni 60. In quell’avventurato periodo, fidatevi anche se so che è difficile crederlo, i Vanilla da noi furono popolari quasi quanto i Beatles e gli Stones, e di sicuro più di tanti rocker che oggi vengono magnificati (leggendo i libri di storia). I Beach Boys, i Who, i Grateful Dead? Macchè. In Italia tiravano i Moody Blues, i Canned Heat e soprattutto i Vanilla Fudge, con le loro sinfonie psichedeliche applicate a brani celebri e la tempesta emotiva di un batterista oggi dimenticato che allora fu maestro per tanti apprendisti spacca-bacchette, Carmine Appice.
I Vanilla Fudge venivano dai quattro angoli della Big Apple, lo abbiamo detto, ed erano tutti ventenni o poco più. Avevano cominciato come Pigeons e poi, nel dicembre 1966, avevano trovato la sigla definitiva grazie al suggerimento di un’amica: nessun mistero enigmistico, come qualcuno ha provato a sostenere, Vanilla Fudge si riferiva ai nuovi coni di gelato allora in voga, aromatizzati al gusto di vaniglia. A ben pensarci, quel burro, zucchero e aromatizzanti era una metafora esemplare della musica proposta. Lo schema preferito prevedeva infatti la scelta di un brano famoso, meglio se i Beatles (Ticket To Ride, Eleanor Rigby) ma anche gli Impressions (People Get Ready), Donovan (Season Of The Witch) o Lee Hazlewood (Some Velvet Morning), che veniva poi impastato con spezie musicali di nuova generazione e tirato a piacere con una dolcissima, sottilissima sfoglia. I pasticcini così preparati avevano un che di inebriante che portava a sfoderare l’infallibile termine “psichedelia”; ma indicavano anche una fuga dal rock semplice e bruto, e allora l’organo di Mark Stein, vero motore della band, suggeriva orizzonti classicheggianti per cui il termine “sinfonico” pareva adatto. “Psichedelia sinfonica”, ecco la quadratura del cerchio; naturalmente inventata dai giornalisti dopo, perchè i ragazzi (americani e inglesi, non solo italiani) si erano innamorati di quelle canzoni ben prima di sapere cosa fossero “di preciso”.
La creazione più fortunata dei Vanilla fu You Keep Me Hangin’ On, una canzone delle Supremes che aveva spopolato nelle classifiche del 1966 e in classifica finì per ritornare dopo il trattamento zuccherino dei nostri pasticceri. Vuole la leggenda che quella canzone sia stata la chiave di tutto. Il produttore George “Shadow” Morton stava per andarsene deluso da un localino dove si era spinto a verificare i ragazzi quando, sulla porta, venne richiamato dalle note di quella cover e trovò che fosse una grande idea, l’unica davvero forte della serata. Portò i boys in studio, li fece registrare in diretta e sottopose il demo ad Ahmet Ertegun della Atlantic, che fu così entusiasta da mettere i Vanilla sotto contratto e pretese che quella prima take finisse dritta su disco, non solo il 33 ma anche un 45 giri che fece epoca.
I dolci sono deperibili e la pasticceria Vanilla non durò tanto. La produzione fu peraltro cospicua: cinque album in poco più di due anni, un gran via-vai di idee sovente astruse, come quel secondo LP, The Beat Goes On, che mescolava le “sinfonie psichedeliche” di cui sopra con voci di grandi personaggi della storia e citazioni di Ludovico Van non ancora a orologeria. Si sciolsero nel marzo 1970, non prima di avere toccato con mano la popolarità di cui godevano dalle nostre parti; a settembre 1969 furono ospiti della Mostra Internazionale di Musica Leggera di Venezia, trasmessa in prima serata dalla RAI, e sebbene fossero in punto di morte vinsero la Gondola d’oro con Some Velvet Morning. Un simpatico equivoco, e non l’unico della loro vicenda. Ci avevano insegnato che il rock a New York era il più cinico e selvaggio e invece ecco, una band di ragazzi del Bronx e di Staten Island che suonava arty e intellettualoide come e più di un gruppo californiano.
(Non conosciuti dal popolo giovane, non ricercati dai collezionisti, i Vanilla Fudge hanno un pubblico ristretto anche se diffuso in tutto il mondo, per via della lontana gloria che abbiamo raccontato. A loro si è rivolta di recente la Rhino Handmade, il dipartimento “di culto” della Rhino Records, con un cofanetto che rivisita la storia in quattro CD più ricco apparato di note. Una quindicina gli inediti, più un lungo live al Fillmore East, Capodanno 1969, e una antologia dei pezzi migliori dai loro cinque LP originali oltre a un paio di frammenti da una reunion del 1984. Superfluo dire che è materiale storicamente interessante ma for collectors only.)
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