Mellencamp John
Voto: 4 STELLE
Casa discografica: Mercury
Anno: 2010
Si comincia da puri e poi si diventa super star, nel rock di solito è così. John Mellencamp ha fatto il contrario. Ha cominciato da piccolo boss, anzi Boss, con l’aria spavalda, il bel faccino e tanta voglia di arrivare. Si faceva chiamare Cougar, “il Puma”, si affidava a vecchie volpi della discografia come Tony DeFries, uno degli stregoni del giovane Bowie. A trent’anni ha infilato il primo numero 1, a quaranta era già sazio di dischi d’oro. Ha smesso presto di fare musica “leggera” e si è messo a cantare di pacifismo, di ingiustizie sociali, del Sogno Americano svanito o, forse peggio, sporcato. Un po’ per volta si è convinto che non era il successo che lo interessava ma qualcos’altro; per esempio la libertà di parlare dritto per dritto, come tanto gli piace, di intervenire sui grandi temi del nostro tempo da cittadino consapevole prima ancora che da rocker in carriera. Così ha deciso di cambiare. Un giorno Neil Young gli ha spiegato come. “Ho scritto prima di te canzoni di successo e sono finito in mezzo alla carreggiata. Be’, sai una cosa? E’ una palla. Allora ho sterzato e ho preso la strada del fosso.”
Il fosso di John Mellencamp sono dischi come Trouble No More, 2003, come Life, Death, Love And Freedom, 2008, o il nuovissimo No Better Than This; album crudi, selvatici, amari, dove un ex ragazzo alla soglia dei sessant’anni scopre nuove forme di bellezza andando a indagare il passato profondo della musica amata. Vecchi bluesmen all’angolo della strada, folksinger che predicano sul pianale di scassati camioncini ai bordi di un campo o davanti a una fabbrica. Johnny non più Cougar oggi abita quel mondo, si è lasciato alle spalle le classifiche, le playlist delle radio, i paragoni con Bruce Springsteen. A spiegare tutto, più ancora del nuovo disco, è un meraviglioso oggetto che Mellencamp ha fortemente voluto e la Universal pubblicato in queste settimane. E’ un box di 4CD a forma di vecchio albo fotografico, On The Rural Route 7609, con una copertina di cartone ruvido e spesse pagine color nocciola con foto, testi, liriche che paiono venire da un’epoca lontana, sbiadite dal tempo, bruciate dal ricordo. Non è un banale greatest hits, piuttosto un diario di vita, e non c’è un ordine cronologico perchè davvero non importa, contano di più gli argomenti e le affinità tematiche dei tanti brani che si rincorrono negli anni.
Seguendo le onde della memoria e degli ideali, Mellencamp traccia un ritratto della sua carriera illuminando soprattutto le pagine della maturità , le scomode prese di posizione, le invettive, la faticata crescita come compositore. Non rinnega i tempi del Puma, anzi, in scaletta ha inserito il demo originale di Jack&Diane, il suo più grande successo, e un nastrino giovanile che già abbozzava quell’idea. La raccolta però poggia su altro: su canzoni come Longest Days, commossa dedica alla nonna, o Just Like You, epitaffio a un amico giornalista, o quella murder song terribile sullo stupro e omicidio di una bambina che intitola l’antologia e non ispira all’autore sentimenti di vendetta ma di straziata pietà (“Solo la compassione può salvarci”). Il Mellencamp migliore è però il cantante di protesta, il folk singer che arringa Jim Crow e Ghost Towns Along The Highway, il pacifista insolente che in Pink Houses, Country Gentleman, Rodeo Clown lega con un solo filo (rovente) Ronald Reagan e George Bush, l’America del capitalismo devastante e l’America gendarme del mondo, il Paese amato eppure così ingiusto ed egoista.
Per queste sue filippiche Johnny lingualunga ha rischiato volentieri la faccia senza mai temere di farlo. Quando nel 2003 mise parole nuove a una vecchia folk song, To Washington, maledicendo la seconda guerra in Iraq, ci fu quasi una sollevazione popolare e molti amici gli voltarono le spalle. “La prima volta che sentii quel pezzo alla radio,” ha raccontato al curatore delle note, Anthony DeCurtis, “un ascoltatore chiamò il disc jockey e disse: ‘Non so se odio di più John Mellencamp o Saddam Hussein.'”
Non tutti la pensano così, anzi, qualcuno vorrebbe Mellencamp al Congresso come rappresentante della sua terra, l’Indiana; magari già da novembre, quando in quello Stato ci saranno le elezioni di medio termine. Ma Johnny ha un sacco di conti aperti con la musica e non lascerà la sua postazione – non adesso almeno. Ha un tour in programma, e un musical che da dieci anni sta scrivendo con Stephen King che prima o poi (promette, minaccia) arriverà su qualche palco; e poi deve continuare il viaggio che ha appena iniziato, lungo le strade blu dov’è più facile trovare i fossi che diceva Neil Young, seguendo i binari di vecchie linee ferroviare con i pali di legno dell’elettricità , nel profondo dell’America ma anche della storia, dalle parti di Woody Guthrie, Robert Johnson, Son House. “Un viaggio di riscoperta” come strilla lo slogan di On The Rural Route per dire che, sì, John Mellencamp ha trovato finalmente la sua strada e un senso per tutto quello che ha fatto.
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According to Variety, Thom Yorke and Jonny Greenwood offered “tons and tons” of “sound experiments” for the score to the upcoming film Stone starring Ed Norton and Robert De Niro. (Via Consequence of Sound.)
“I’m friends with the guys in Radiohead, and Johnny Greenwood met me in London a while back,” said Norton. “So given the spiritual ties in this film, I started talking to him about this idea: ‘What would you use to record this divine-like tuning sound?’ And he and Thom [Yorke] had been playing a lot of weird ambient stuff at the time and so, amazingly, they just unloaded tons and tons of files to us of these sound experiments that they had been doing. We just listened to them in awe until [director] John [Curran] eventually got [composer] John O’Brien to come in and see what he could make of it.”
It is unclear whether the Yorke/Greenwood music made the final film, which is out October 8, or if the score will be released.
http://pitchfork.com/news/40257-radiohead-help-out-with-music-for-ed-norton-movie/
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Back in August, we heard that the electronic music visionary Brian Eno was going to be releasing his next album, Small Craft on a Milk Sea, on the pioneering label Warp. The proposition was immediately intriguing because so many artists on Warp were directly inspired by Eno and dedicated their creative talents toward extending the ideas that he had introduced into the conversation. It just seemed right, and it also made you wonder if working with Warp would make Eno feel competitive, like he might feel pressure to come in and show the younger generation how it’s done.
I can’t say if there’s any truth to that notion, but the first bit of new music from the album definitely gets the blood pumping. “2 Forms of Anger” is a dark, dense, and forceful track, with a noisy energy that recalls vaguely recalls guitar-heavy early work from Eno like “Third Uncle”. The first two minutes of the song feels like someone twisting to get out of a straightjacket, with the percussion and buzzing guitar and rumbling bass gathering themselves together to bust out into something, and then in its final third it explodes into a steady-state krautrock pulse, a clattering machine bound for the horizon. That it lasts only three minutes when it seems like it could easily go on for eight is difficult to get your head around, but maybe the sequencing of the album will solve that puzzle. For now, it’s an exciting mini-epic that defies expectations, a reminder of how many directions Eno’s music can go.
http://pitchfork.com/reviews/tracks/12004-2-forms-of-anger/
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CIAO ALOISIO ,CACCIO SEI COME LA PRIMULA ROSSA ,OGNI TANTO SCOMPARI ……TUTTO BENE? OK E GRAZIE OVVIAMENTE AI CONTRIBUTI TUOI E DEL MITICO B16!
MA CHI SONO GLI ANGRA,ADESSO VADO SU WIKI! GRAZIE OGNI GIORNO SE NE IMPARA UNA NUOVA………..
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