Slash
Voto:4stelle
Voto utenti:4 stelle e mezzo
Casa discografica: Roadrunner
Anno: 2010
All’ascolto di questo atteso disco solista di Slash (a tutti gli effetti un debutto, se si escludono i lavori della sua one-man-band, gli Slash’s Snakepit), inevitabile giunge il paragone con l’ultimo album dell’acerrimo rivale, Axl Rose e i suoi ampiamente rimaneggiati Guns N’ Roses.
Uscito nel 2009, forse anche a causa degli ‘insopportabili’ 15 anni di attesa, Chinese Democracy è sì un lavoro particolare ed eclettico, che esplora a tratti tortuose vie di sentieri elettronici hi-tech (quantomeno nel mixaggio, infinitamente editato), ma che genera, volenti o nolenti (o dolenti), quel classico amore-odio che ripaga sempre e solo in parte le aspettative.
Poco appare del sound di quella leggendaria rock band, che rimodernizzò nei tardi ‘80s il concetto di Hard-Rock. Fasti irripercorribili, alla fine si sa, gli anni passano per tutti, e ognuno sceglie le proprie strade, cercando di mantenere, in qualche modo, una stabile produzione discografica (dai lavori solisti della ‘spalla’ Izzy Stradlin al bassista Duff McKagan, altro inossidabile ora in forza ai Jane’s Addiction). Dopotutto lo stesso capellone cilindrato non è stato da meno, rispolverando negli ultimi anni il suo vecchio crunch con due discreti dischi targati Velvet Revolver.
Con questi ultimi in standby, il guitar-hero annuncia ora l’atteso debutto solista (e a 45 anni, verrebbe da dire, era anche ora) con una carrellata di ‘guest’ di tutto rispetto: da Ozzy Osbourne a Lemmy dei Motorhead, passando per l’iguana Iggy Pop, il guitar-hero opta per mantenersi fedele alle proprie radici, scegliendo, all’occorrenza, di modernizzare il proprio ‘fulcro creativo’ con un solido e fresco apporto del panorama ‘pop-rock’. Sì, avete capito bene, molti storceranno il naso solo a leggerne i nomi: da Fergie, vocalist femminile dei Black Eyed Peas, a Kid Rock e Adam Levine dei Maroon 5.
Ma in questa piccola evoluzione (o involuzione per i fan tradizionalisti e nostalgici, sta a voi) balzano comunque all’occhio delle sorprese singolari: a cominciare dalla voce di Fergie in Beautiful Dangerous, che checché se ne dica, a mio modesto parere è incredibilmente graffiante e davvero ‘Rock’n’Roll’, sfacciata, irriverente, smorfiosa quanto basta per annichilire le performance dello stesso odiato Rose (forse non quello dei tempi d’oro, ma quello odierno sicuramente). Lasciando per un attimo da parte il suo passato pseudo/fighetto/hip-hop, dopo essermi imbattuto nel brano in questione mi sono precipitato immediatamente a cercare i responsi di questo improbabile duo in rete, ritrovandomi sottomano una incredibile, tostissima cover di Paradise City (che ho scoperto poi essere stata inclusa nel “lato B” del singolo Sahara, che, udite udite, non appare nella tracklist europea del disco e che, a quanto pare, rimarrà riservato solo al mercato nipponico. Hai capito questi giapponesi…). Comunque don’t worry, per gli internetofili, trovate tutto su iTunes.
Saul Hudson, in arte Slash, dal canto suo è inarrestabile: i soli del capellone, onnipresenti in tutto l’album, sono confezionati sapientemente sotto una regia quasi perfetta. Dice di aver lavorato solo pochi mesi all’album, ma nonostante faccia il modesto Slashy è ampiamente in prima linea su tutti i fronti: il suo suono marshall ruggente, ripieno di allucinogeni crybaby, spara autentiche revolverate, una dietro l’altra, in un’aurea di grazia e uno stato di ispirazione unica.
Dalla paludosa e riverberata Crucify the Dead, confezionata in pieno stile Sabbath – anche se a tratti troviamo un Ozzy un po’ lamentoso e scarno (L’età , o meglio la ‘fattanza’, forse cominciano a farsi sentire) – all’apice del rock’n’roll vero, grezzo, sanguigno, con una grandissima Doctor Alibi interpretata da un altro mito sempreverde, Lemmy Kilminster. By the Sword con Andrew Stockdale (Wolfmother), a tutti gli effetti primo singolo estratto dall’album, è un piccolo gioiello ledzeppeliniano (ne trovate sopra un’interessante performance live), mentre si ri-esplora il metal ‘classico’ (quasi da Megadeth) con Nothing to say grazie anche al lavoro screammato dell’Avenged Sevenfold Matthew Shadows.
Altri capitoli interessanti, le ballad: da Gotten, con la voce del paperino Adam Levine che si mette in mostra per un classico sdolcinamento retrò (nonostante vaghi echi mainstream, comunque piacevole), a Promise che include l’apporto del poliedrico Chris Cornell. Su quest’ultimo poco da dire: di certo non lancia più i suoi acuti disumani di una volta (nel caso rispolveratevi Badmotorfinger), ma nonostante ciò la sua voce sembra acquistare, con l’età , sfumature sempre più eleganti, quasi da gentleman.
E dal sottosuolo arriva quasi in sordina la strumentale Watch This, probabilmente uno dei pezzi migliori non solo dell’album ma di tutti i lavori pseudo-solisti (e non) di Slash: con Dave Grohl al timone il nostro amico letteralmente si trasforma e fa il diavolo a quattro. Dal cilindro magico esce fuori la perfezione, tra istinti psichedelici alla Kyuss, soli indiavolati che echeggiano l’Hendrix più malato, e riff ‘metallici’ incastrati a ruota, facendo risonare il nome di Hudson nell’olimpo dei grandi guru, da Page a Blackmore, a Young.
Con Kid Rock si torna al southern rock da revival (Hold On, non a caso molto in linea con il suo ultimo Rock’n’Roll Jesus) mentre un altro gioiello non poteva che essere Starlight con quel popò di cantante, tale che è Myles Kennedy (Alterbridge), in grado di riprodurre praticamente qualsiasi suono vocale.
E la parata di stelle termina con un altro siluro al fulmicotone: Iggy Pop, da poco entrato nella Rock and Roll Hall of Fame (con i suoi Stooges, vedi articolo), sfodera nel suo stile una irriverente We’re all gonna die, dove il biondo nonno, con una ruggente e impeccabile interpretazione, conferma ampiamente di essere ancora oggi uno dei grandi miti storici-viventi dei ’70s (e ascoltando in dissolvenza le sue grasse risate finali dell’outro, aggiungerei, anche una specie di grottesca ‘incarnazione del diavolo’).
Per la serie a volte ritornano, “Slash”, paradossalmente completa quello che manca, attualmente, nei nuovi GNR (in sostanza, il Rock’n’Roll).
Related Articles
No user responded in this post
Leave A Reply