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Steve Earle
Voto:Â
Casa discografica: New West-IRD
Anno: 2009
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Steve Earle aveva 17 anni quando conobbe Townes Van Zandt, secondo una leggenda che ha fatto il giro del folk americano. Townes lingualunga si presentò a un concerto del ragazzino rimproverandolo di non sapere un certo tradche aveva richiesto; quello reagì suonando in faccia all’autore una delle sue canzoni più strane e difficili. Diventarono amici, e l’ammirazione diventò qualcosa di più, forse ossessione, quando le loro strade si divisero: Earle sotto la luce dei riflettori, maestro della folk song più polemica e attuale, Van Zandt in un angolo della scena, onorato dal culto di pochi. L’ipotetico match si chiuse quando il texano morì poco più che cinquantenne, nel 1997; per inciso, l’anno di uno degli album più emozionanti e forti di Earle, El Corazòn.
Quest’album paga il tributo di amore e rispetto del ragazzino ormai cresciuto nei confronti di quello che ha sempre considerato un maestro, il maestro anzi, come e più dell’adorato Dylan. Quindici canzoni scelte dal repertorio di quel grande outsider, nell’asciutta lingua che Van Zandt preferiva: voce, chitarra, ritmica essenziale, poca elettricità , qualche delicata tinta di fiddle e mandolino.Â
E’ una fantastica galleria di ballate malinconiche, blues sommessi, idilliaci quadretti di grandi spazi americani, con canzoni che Earle canta da una vita e altre che puntigliosamente ha voluto imparare per l’occasione. C’ è Pancho & Lefty, la prima specie di successo per Van Zandt (più per la cover di Emmylou Harris che per l’originale), ci sono White Freightliner Blues e Colorado Girl, con cui Earle ha aperto per anni i concerti; e Lungs, con un cameo di Tom Morello aka the Nightwatchman, e Mr. Mudd And Mr. Gold, la canzone famosa che dicevamo prima, l’anello che tanti anni fa strinse Earle e Van Zandt e qui, con bella simmetria, lega Steve e suo figlio, Justin Townes Earle.
Un pezzo di vita e di storia, più che un semplice CD. E’ bello quando un disco riesce a nutrirti così.
Riccardo Bertoncelli
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