by delrock.it e Mr Bertoncelli
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Van Morrison
Voto:Â
Casa discografica: Warner Bros
Anno: 2009
Van Morrison diventò grande in fretta, in tutti i sensi. Non aveva ancora compiuto vent’anni e già aveva scritto la sua canzone più celebre e lucrosa, Gloria; e a ventitre diede alle stampe un esordio non timido e gracile come di solito ma folgorante, epocale - Astral Weeks.
Già sento i pignoli che protestano. Ho scritto “esordio” e in effetti ogni discografia mi smentirebbe, per via di un album (Blowin’ Your Mind) che viene prima di un anno buono. Ma l’apparenza inganna. In realtà quel disco era una sorta di prova generale, oltre che una strenua lotta tra il Morrison beat arrabbiato e il nuovo Van più delicato, sensibile. Il combattimento si era svolto alla presenza di un produttore bravo e invadente, Bert Berns, che alla fine aveva deciso da tiranno: era meglio spendibile, più commerciale il vecchio Morrison tuoni & ruggine, e quindi il repertorio andava inclinato da quella parte, a dispetto di quanto si augurava lo stesso protagonista.
Blowin’ Your Mind è dunque la monetina numero 1 ufficiale ma Astral Weeks il veroesordio, il primo Morrison libero e in piena facoltà . Van lo concepì come una sorta di film della sua mente, come un tutt’uno, anche se i testi delle canzoni non raccontavano una storia e una sola ma vorticavano tra fantasie e memorie personali, tra impressionismo sociale e un intenso, profondo sentimentalismo. Preparò il repertorio con calma, mesi e mesi tra 1967 e ’68, e lo rifinì in scena con un trio non irresistibile che però rendeva l’idea del nuovo che voleva: la sua voce, il flauto di John Payne, il contrabbasso di Tom Kilbania. Erano spettacoli decisamente fuori schema, e molti musicisti accorrevano a farsi incantare, Hendrix per primo; ma il grande pubblico restava lontano e le case discografiche non facevano certo la fila.
Alla fine si convinse la Warner Bros., seppure per via indiretta. Commissionò il disco ai manager dell’artista, Lewis Marenstein e Robert Schwaid, e lo acquistò da loro, giusto per non avere vincoli. Se guardate le note troverete come produttore appunto Marenstein, ma ancora una volta ciò che appare è bugiardo. Il produttore unico e vero fu Morrison, liberato finalmente dal padre padrone Berns e con budget abbastanza per lavorare con musicisti esperti – e che musicisti! Degli abituali compagni venne reclutato il solo Payne, flauto e sax soprano: con lui il batterista Connie Kay (Modern Jazz Quartet), il contrabbassista Richard Davis (Eric Dolphy), Warren Smith jr al vibrafono e un giovane genietto della chitarra classica, Jay Berliner. Aveva le idee così chiare, il giovane Van, che realizzò il disco di getto, in due sedute di quattro ore ai Century Sound Studios di New York, 25 settembre e 15 ottobre 1968. Due altre sessions di misurate sovraincisioni orchestrali, arrangiate e dirette da Larry Fallon, e l’album era pronto – e tempo un mese era già nei negozi.Â
Che tempi beati, senza lungaggini e sofisticherie. Morrison prendeva subito l’abbrivio e tramortiva l’ascoltatore con i sette minuti della title track, volando su alte scale di parole dylaniane che portavano verso un magico altrove, “nella scia tra i viadotti dei tuoi sogni”. Poi passava allo struggimento di Beside You, una sua versione de La cura tanti anni prima di Battiato, e ancora Sweet Thing ma soprattuttoCyprus Avenue, e Madame George, prime tappe di una ricerca del tempo perduto (a Belfast, naturalmente, nel cuore profondo dei ’50) che ancora oggi non è terminata. Il Morrison che abbiamo imparato a conoscere, una delle grandi icone stilistiche della canzone del ‘900, nasce da questi densi 45 minuti. E’ un bardo medioevale e un soulman del suo tempo, tutto insieme e tutto intensamente, che con dolce prepotenza si fa spazio usando la voce come in trance: recita, improvvisa, ripete, deliquia, sul fine tappeto che i musicisti gli stendono sotto, in una terra incognita che non si sa come definire – di sicuro non “rock”. “Modern Jazz Folk Quartet”, aveva scherzato Tim Hardin non molto prima; ecco, qualcosa del genere, e per un’idea delle coordinate vale ricordare anche il Tim Buckley di Happy/Sad, il Donovan diMellow Yellow, Nick Drake e Five Leaves Left. Ma è bene parlare sottovoce, scrivere con inchiostro simpatico. Fin dagli inizi il rude Van fa il vuoto intorno – non vuole modelli, non cerca esempi, è solo con la musica che gli batte in testa.
Astral Weeks non passò per radio e non andò in classifica, alla fine dei ’60 aveva totalizzato sì e no 20.000 copie di vendita. Come brano di lancio scelsero forse la canzone più debole, Slim Slow Slider – insomma, un piccolo disastro. Ma il tempo è galantuomo, e dopo Astral Weeks vennero Moondance e poi His Band And His Street Choir, e cominciò a crescere il mito che conosciamo. Quarant’anni dopo siamo ancora qui a raccontarne, e a incantarci.
Riccardo Bertoncelli
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4 users responded in this post
roba da rimanere incantati davanti allo stereo…davvero….per quanto mi riguarda!!!! musica senza tempo….SENZA TEMPO!!!
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convengo caro generale,anche l’ultimo live at the hollywood bowl non e’ male,poi Morrison e’ sempre un bel cognome …….vero Jim ,vero Van e pure il poppetto di James (qualcosa) si sopporta……..cosi tanto da sentire con la morosa o la moglie dai……..
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….e il tempo non ce l’ho più…ma lo troverò!
grande van morrison, grande buzz rock cafè… il segreto di astral weeks è impossibile da scriversi… un abbraccio a tutti!
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ciao a te b16 e non “oziare” troppo:-)
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