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The Music, 1972-2008
Manzanera Phil
Voto:Â
Casa discografica: Expression
Anno: 2008
L’annuncio recitava: “Il perfetto chitarrista per un gruppo di avant rock – originale, creativo, adattabile, melodico, rapido, lento, elegante, brillante, inquietante, stabile, scaltro. Solo musicisti di qualità . ‘Roxy’, 223 0296′
I musicisti si trovavano così, nel lontano ingenuo 1971, e i Roxy non facevano eccezione; Roxy nel senso di Roxy Music, la neonata band di Bryan Ferry e Brian Eno, che in quel preistorico anno era ben lontana dalla gloria rock, ancora alla ricerca di una struttura prima che di un contratto discografico. Risposero in tanti ma la via alla perfezione si rivelò difficile. Solo al terzo tentativo, e dopo un anno di equivoci, il ruolo venne affidato all’originale creativo adattabile eccetera Philip Targett-Adams Manzanera, in arte Phil Manzanera, da vecchio semplicemente PM; un ventunenne londinese con trascorsi avant psycho, prima con gli sconosciutissimiPooh And The Ostrich Feather, poi con i più noti (è un modo di dire) Quiet Sun. Manzanera fece subito bene e fu tra gli artefici del luccicante successo Roxy, che accompagnò nel lungo altalenante percorso sino alla fine, 1983. In parallelo, sviluppò altri progetti come leader e produttore, continuando poi con gusto oltre i confini della vecchia glam band. Diventò una delle icone del british rock classico, anche se solo per una piccola cerchia di eletti. Troppo raffinato per il grande pubblico, il nostro PM; e così elegant and witty da usare i primi posti in classifica, la fama e i denari per pagarsi la libertà e portare la sua chitarra, e la testa acuta di consigliere, in posti scomodi ma graditi.
Ogni tanto Manzanera fa antologia e si racconta. Lo fece alla metà degli 80 con unGuitarissimo che raccoglieva i più bei lampi del suo strumento e nei 90 con una doppia Collection; e con più ambizione lo fa oggi, con un doppio CD + DVD intitolato The Music, 1972-2008 , edito dalla Expression. Due ore un quarto di audio, un documentario e sette video possono sembrare tanti per un artista di culto che la gran parte di chi non ha i miei anni neanche conosce. Invece è poco, pochissimo, una dieta umile e stretta; e se non ci credete andate a ripassare la storia di questo strano britanno con sangue colombiano, cresciuto a Caracas e a L’Avana prima di planare nella swingin’ London in technicolor, e verificate il po’ po’ di cose che anche extra Roxy ha saputo combinare. L’antologia per esempio dimentica tutto il percorso come produttore, con il Brian Eno di Taking Tiger e il John Cale di Fear, con Godley & Creme e gli Split Enz, con Nina Hagen e David Gilmour; tralascia le collaborazioni con l’amico Wyatt, scarta le molte incursioni nel mondo latino, amore/riscoperta degli anni maturi.
Succede una cosa strana, rara davvero. Dovendo fare il punto della situazione all’alba dei 57, PM restringe l’indagine ai primi dieci anni, da Stranded ad Avalon, ePrimitive Guitars, e poi la riprende un ventennio dopo, con gli ultimi tre album “solo”. Sapete qual è la stranezza? Che io avrei fatto la stessa cosa, e la maggior parte degli appassionati credo, tagliando via gli Explorers e i duetti con Wetton e McKay, e i sogni cubani con Moncada e 801 Latino, recuperati solo di sfuggita nel DVD. Quando mai si è visto un artista dare ragione, e non per piaggeria, a “critici” e fans?
Phil Manzanera era stato compagno di scuola del grande Ian McDonald, qui forse sveliamo l’arcano, lo studioso di Revolution In My Head, uno dei più acuti saggisti del mondo rock britannico. Ne era diventato intimo e lo aveva in grande stima, così da chiedergli di scrivere, nel 1995, le note introduttive per la Collection. McDonald fece un lavoro splendido, tanto che 13 anni dopo Manzanera ha deciso di usarle così com’erano anche per The Music, omaggiando l’amico nel frattempo scomparso e avallando nello stesso tempo la sua analisi. In effetti McDonald è impeccabile, e non si può che mettersi sulla sua pista, specie quando svela le radici di PM e rintraccia “tre strati di influenze” anteriori all’epifania Roxy Music. Il primo strato riguarda gli anni sudamericani e la fascinazione per la canzone popolare cubana e colombiana, per i boleri di Armando Manazerno, Celia Cruz, le musiche andine. Negli anni teen vanno a sovrapporsi il rock di Elvis e i Beatles, i Byrds e i Beach Boys; fino a quando il giovane Philip non prende in mano la chitarra e non viene stordito, ecco il terzo strato, dalle suggestioni psichedeliche di fine ’60.
Non solo un musicista che ascolta i critici (Richard Williams e John Peel, oltre a McDonald); anche un instancabile cercatore di stimoli, un ingordo onnivoro nella stagione di Captain Beefheart, Zappa e Cream, dei Velvet e di Hendrix, fino all’outerspace di Davis e Cecil Taylor, Stravinskij, Terry Riley, Varèse, musica balinese e folk dell’Est europeo. Da questa montagna di stimoli e suggestioni nasce un complesso stile chitarristico: dove l’attrazione per la “libertà melodica” del giovane Mike Ratledge si combina con la profondità spaziale di David Gilmour e “un tipico gusto per ostinati ritmici, derivato dalle sua radici latino americane ed esaltato dagli esperimenti con il Revox, ricorrendo a echi e loops.”
(Cosa c’entra Ratledge, un organista, chiederete voi. Manzanera lo spiegava in nota a un suo vecchio album. “Per scelta non mi sono mai fatto influenzare da altri chitarristi. L’ispirazione l’ho trovata nel lavoro di chi suonava altri strumenti. Volevo che la mia chitarra suonasse come l’organo di Ratledge, il sax alto di Charlie Parker, il contrabbasso di Charles Mingus… Per questo in alcuni dischi a cui ho collaborato la chitarra sembra che non ci sia; sono sempre stato interessato all’idea di farla suonare come qualcos’altro”).
Io rimango un fan del Manzanera strumentale, e mi spiace che in vita sua abbia frequentato poco quell’arte e nella raccolta ci siano solo un paio di pezzi daPrimitive Guitars, il disco del 1982 – una meraviglia reference. Ma anche come chitarrista di canzoni PM era un grande, e bastino le raffinatissime textures di tanti brani Roxy (all’epoca snobbati, zuccone che ero!) e i ricami ultrafini con gli 801. Anzi, non bastino affatto: perchè tra le cose più belle dell’antologia ci sono gli undici pezzi del secondo CD, la selezione da Vozero, 6PM e 50 Minutes Later, i dischi dell’ultimo decennio. Prima “per via d’intuito ed emozioni”, poi anche con la testa, non solo con il cuore, Manzanera (ri)trova la formula felice degli anni giovani, il gusto per piccole sinfonie tra sogno e realtà mescolando London glam e Technicolor Dream, fierezza criolla e impossible guitar. Sono tre dischi dolcissimi, che non hanno ancora avuto seguito forse perchè tanto luminosi da scoraggiare un “dopo”.
Peccato che il vecchio McDonald non se li sia potuti godere, morto tragicamente nel 2003. A lui è dedicata con affetto Wish You Well, ripensando con malinconia a cosa di nuovo avrebbe scritto di quel suo amico “sempre al limite, a mettersi alla prova, a saggiare l’ignoto, correndo il rischio di svettare a un certo punto come un angelo e di barcollare l’istante dopo come un sonnambulo”.
Riccardo Bertoncelli
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ebbravo bertoncelli!
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A volte ,non sempre,un libro aperto.Soprattutto quando non ascolta,non pensa e poi non scrive a SENSO UNICO ……..ma per tutti e di tutti.Manzanera,azz CHAPEAU:-)
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